Il terzo testo: "Lo scambio delle donne" di Gayle Rubin

Come terzo testo abbiamo letto "Lo scambio delle donne" di Gayle Rubin. L'abbiamo recuperato dalla traduzione
italiana nel primo numero di Nuova DWF. Per nulla facile, perché introduce il concetto di "sistema sesso/genere" attraverso una rilettura di strumenti teorici che precedono il movimento femminista, e che per certi versi hanno obiettivi ben diversi: il marxismo, l'antropologia strutturale di Lévi-Strauss, la psicoanalisi freudiana riletta attraverso Lacan. In questo tour de force, lucido ma al tempo stesso complesso, la Rubin cerca di articolare il "gender" come il prodotto di un sistema di relazioni socio-economiche che trasforma il "sesso" naturale (il dato della sessuazione biologica) in asimmetria di genere, ovvero il particolare posizionamento, definizione e ruolo normativo di "uomo" e "donna" nelle varie culture.
Una cosa che abbiamo osservato è che questa distinzione tra sesso e genere è essa stessa uno strumento politico per dissociare la "Donna" - il significante "Donna" con i suoi determinati significati socio-culturali - da un discorso naturalizzante, che inevitabilmente tende a leggere i destini maschili e femminili come esiti di un destino dettato dalla biologia. Invece il percorso di trasformazione da sesso a genere non ha nulla di naturale, e quindi in questo processo di trasformazione (un vero e proprio modo di produzione para-marxiano) è sempre possibile - per quanto difficile - intervenire. Forse non è tanto importante capire che cosa sono "veramente" sesso e genere, quanto capire il senso di una loro differenziazione in prospettiva di trasformazione femminista.
Anche la parte sulla psicoanalisi è interessante, perché considera come la trasformazione di "sesso" in "genere" non è un processo puramente sociale esterno all'individuo, ma è anche "fatto proprio" e trasmesso (interiorizzato) nel rapporto con i genitori, con i modelli di genere paterno e materno. Inoltre, il coinvolgimento con il discorso psicoanalitico mette in campo la questione assai spinosa del desiderio, dell'identificazione e della sessualità che viene a formarsi nello "scontro" tra norme di genere e soggetto pre-edipico. Quindi il "genere" - che è anche in questa prospettiva il modo in cui ogni "soggetto" diventa "soggetto uomo" o "soggetto donna" - si intreccia con la formazione della soggettività e di un soggetto la cui sessualità passa attraverso vari tabù, divieti e prescrizioni: tra questi, l'eterosessualità "obbligatoria°, che discende dalla costruzione di due generi per così dire opposti e complementari, funzionali alla riproduzione, non soltanto biologica ma soprattutto delle relazioni di produzione sociale che l'hanno prodotta in primo luogo. Ogni riproduzione è una forma di produzione; ogni produzione "normativa" è una forma di riproduzione.
In questo modo la Rubin articola un "sistema di produzione" che è assai potente, in cui sesso, genere e sessualità si implicano a vicenda, ma in modalità che non sono mai astratte né universali. Per quanto sia facile trasformare la proposta di Rubin in uno schema astratto concettuale, la sua formazione antropologica e il suo appello a un "ritorno a Engels" stanno a significare l'attenzione necessaria alle particolari condizioni che fanno di ogni società non un dato, ma un costrutto collettivo e interconnesso. Rubin ci chiede di intervenire e partecipare a questo processo.
Un segno del pensiero utopico di quel decennio è l'aspirazione a una liberazione dal "gender", o meglio a una liberazione dalla necessità di un determinato "sistema di genere". Il portato femminista e lesbico di questo desiderio si nasconde nel sogno di una umanità dove nessuno sia obbligato a dover essere "uomo" o "donna". I suggerimenti di Rubin su come allentare questo dispositivo produttivo e repressivo insieme sono quasi commoventi. Ma è anche un messaggio femminista molto particolare: la rivoluzione femminista attraverso la riconfigurazione dei rapporti di parentela. Chissà se pensava anche ai matrimoni omosessuali o alle coppie omogenitoriali?

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