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Visualizzazione dei post da 2013
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Un documentario spiazzante, forse perché si astiene dal ricostruire una immagine unitaria dell'omosessualità o dell'omosessuale. La strategia mi sembra essere quella di accogliere tutto il materiale contraddittorio che si addensa intorno a questa categoria - e a questi "soggetti" -, di volta in volta condizione, orientamento, identità naturale, desiderio, patologia, peccato, condizionamento, effetto o causa. Gli intervistati e le intervistate (sia gay che etero) contribuiscono tutt* a rendere multiforme e inafferrabile tale categoria. Canecapovolto ci mette del suo con alcune domande volutamente inaspettate (tipo "è più grave avere una figlia lesbica o un figlio gay?"), e, soprattutto, con un montaggio alternato di spezzoni filmici o documentaristici che rendono di volta in volta allucinatorio, paranoico, voyeuristico lo scenario all'interno del quale si cerca di identificare chi sia e come sia riconoscibile l'omosessuale. Si tratta di un'opera

Le capriole del sesso e del genere secondo Butler

Non mi ricordavo che in questo saggio Butler tornasse così insistentemente a Beauvoir: "Donna non si nasce, si diventa". Soltanto che lei fa esplodere questa celebre affermazione - così tanto ripetuta da diventare quasi innocua - in modo veramente insolito. Con questa affermazione possiamo giocare in modo pericoloso. Proviamo. Se donna non si nasce, ma si diventa, chi o che cosa diventa donna? Se il nascere ha a che fare con una origine, e se questa origine naturale - con Rubin - la chiamiamo sex , allora la donna non potrà fare altro se non avere a che fare con un divenire. Questo divenire trasformativo sarà il gender . "Donna", dunque, non è né più né meno se non un attributo di genere, indebitamente usato per nominare a ritroso un sex che altrimenti non avrebbe un nome, o quel nome. Naturalmente, tornando a Beauvoir attraverso Rubin, Butler non può ammettere che tale divenire sia altro se non una "produzione". La produzione di genere - obbligatoria

Il corpo (in)generato per Judith Butler

Prendendo le mosse dalla fenomenologia Butler introduce una nozione di corpo che è del tutto opposta non soltanto al senso comune ma anche a una politica naturalisticamente femminista, gay, lesbica e trans. Per Butler infatti il corpo non è un dato naturale e quindi non si può dire che sia immediatamente disponibile a essere riappropriato o ritrovato. Come non esiste un soggetto che precede il verbo, come non esiste un mondo "là fuori" assolutamente oggettificato ed esterno alla coscienza, come non esiste dunque un soggetto o una coscienza "vuota" che venga successivamente riempita dalle percezioni del mondo - così anche il corpo è attualizzato come incorporazione di possibilità. Non abbiamo dunque un corpo che poi plasmiamo in un certo modo, ma abbiamo un corpo nell'atto di plasmarlo, attraverso dunque un processo di incorporazione. Tali possibilità, d'altra parte, non sono un campionario dal quale possiamo scegliere quasi fossero dei vestiti in vendita. L

Il gender per Judith Butler: un avvicinamento al genere performativo

Leggendo nel nostro seminario il saggio "Atti performativi e costituzione di genere" di Judith Butler mi è venuto in mente di riassumere le principali caratteristiche che la teorica queerfemminista attribuisce al genere. E' vero che questo saggio precede il celeberrimo Gender Trouble del 1990, ma è pur sempre un testo utile nell'indirizzarci a interpretare la "performatività" del genere, o gender. In ordine di apparizione: * Il genere non è una identità stabile, ma è istituito attraverso la ripetizione e stilizzazione del corpo * Il genere è una temporalità sociale: è istituito nel tempo e il suo effetto di durata, continua e sostanziale, è più un'illusione sociale che una realtà naturale o autonoma. Da notare che la ripetizione è connotata qui come una "discontinuità", vale a dire sono necessari molteplici e continui atti e non ne basta uno solo originario (del tipo: una creazione divina, una volta per tutte). Posso aggiungere che detto

Ana Mendieta al Castello di Rivoli (30 gennaio-5 maggio 2013)

Ho menzionato questa grande artista cubana ieri al seminario. Non sono ancora andato a vedere la mostra, ma la consiglio a tutt* "Allestita nei suggestivi spazi della Manica Lunga la rassegna Ana Mendieta. She Got Love, prima grande retrospettiva europea dedicata all’artista cubana. Il progetto, a cura di Beatrice Merz e Olga Gambari, si propone di rileggere la figura dell’artista come modello e icona per la performance e il video, la body art e la fotografia, la land art, l’autoritratto e la scultura. Nel lavoro di Mendieta (1948 – 1985) confluiscono, infatti, tutte queste componenti, linguaggi coniugati in un personalissimo alfabeto visionario e materico, magico e poetico, politico e progressista che aspirano a raccontare l’identità femminile a partire dalle radici culturali cubane dell’artista sino ad arrivare alla donna contemporanea. Nel suo lavoro esplora temi come l’individuo, i generi, la morte e la vita, la violenza e l’amore, il sesso, la rinascita, lo sradicamento,
Venerdì 1° marzo 2012, Università del Piemonte Orientale, Vercelli (Aula C1, ex-Ospedaletto) Proiezione di Abbiamo un problema , documentario di Canecapovolto sull'omosessualità nel sapere "comune" Siete tutte e tutti invitate! " Abbiamo un problema approccia l’omosessualità (o meglio l’immagine stessa dell’omosessualità) in particolare nelle sue problematiche politiche, sociali e religiose. Non un lavoro “a tesi”, visto che le interviste su cui è basato hanno fatto affiorare pensieri e posizioni controverse. Abbiamo un problema non vuole essere uno strumento consolatorio riguardo la condizione omosessuale: abbiamo ritenuto invece che un dispositivo narrativo volutamente leggero, artistico (ed in certi casi disturbante) sia servito ad arrivare dritto alle radici del pregiudizio, della paura e rappresentare un contributo inedito per una lotta, sempre più urgente, per i diritti civili di tutti." www.canecapovolto.it www.navarraeditore.it

"Paris is burning", il famoso documentario sui balli in drag tra i gay neri di New York (very '80s!)

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Quale miglior documentario per preparare la lettura di un estratto da Gender Trouble di Judith Butler? Qui il "gender" è veramente realizzato come qualcosa di costruito, inautentico, "non naturale". La Butler scriverà un celebre capitolo proprio su questo documentario, ma noi lo vediamo a mo' di preambolo. Avevamo già visto che il termine "gender", prima ancora di avere una genealogia femminista, ha un'origine medica negli anni '50, applicato ai soggetti per i quali, nell'immediato dopoguerra, cominciavano a essere disponibili tecnologie utili al cambio di sesso. Ma è soltanto alla fine degli anni Ottanta che i soggetti transessuali, transgender, e travestiti cominciano a entrare come soggetti pienamente compresi dai "gender studies", e forse ancor più, dai queer studies. Effettivamente il "gender" che qui si incontra è del tutto "queer", perlomeno nel senso di "innaturale", "performativo&quo

Una strana coppia di testi: il Combahee River Collective (1977) e Chandra Mohanty, "Sotto gli occhi dell'Occidente" (1986)

Quanto diversi nel linguaggio e nella modalità di comunicare questi due saggi! Una dichiarazione di intenti di un collettivo femminista nero scritto in prima persona plurale, e un saggio (un estratto striminzito, a dire il vero) intellettualmente e politicamente sofisticato, che tutt* hanno avuto estrema difficoltà a leggere e a "farsi piacere". Perché li ho messi insieme? Perché mi sembrava che dessero due scossoni diversi a un "soggetto donna" inteso in senso universalistico da parte di un femminismo che non aveva ancora teorizzato tutta una serie di differenze "interne", o perlomeno non le aveva negoziate come dato fondamentale di ciò che dovrebbe proporsi il movimento femminista. Così, la Dichiarazione del collettivo Combahee River rivendica una politica femminista nera che si faccia carico di una oppressione che non passa soltanto dal sessismo, ma anche dal razzismo. Nel momento in cui il femminismo non affronta la questione dell'oppressione raz

Il terzo testo: "Lo scambio delle donne" di Gayle Rubin

Come terzo testo abbiamo letto "Lo scambio delle donne" di Gayle Rubin. L'abbiamo recuperato dalla traduzione italiana nel primo numero di Nuova DWF. Per nulla facile, perché introduce il concetto di "sistema sesso/genere" attraverso una rilettura di strumenti teorici che precedono il movimento femminista, e che per certi versi hanno obiettivi ben diversi: il marxismo, l'antropologia strutturale di Lévi-Strauss, la psicoanalisi freudiana riletta attraverso Lacan. In questo tour de force, lucido ma al tempo stesso complesso, la Rubin cerca di articolare il "gender" come il prodotto di un sistema di relazioni socio-economiche che trasforma il "sesso" naturale (il dato della sessuazione biologica) in asimmetria di genere, ovvero il particolare posizionamento, definizione e ruolo normativo di "uomo" e "donna" nelle varie culture. Una cosa che abbiamo osservato è che questa distinzione tra sesso e genere è essa stessa uno

"Vogliamo anche le rose", pt. 7-8

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"Nel movimento femminista di liberazione potrete trovare tutte le soluzioni ai vostri problemi. Potete parlare liberamente di sesso, maternità, contraccezione, aborto, famiglia, prostituzione, scuola, infanzia, vecchiaia, mestruazione, menopausa. Signore, signorine, bambine, vi aspettiamo."

"Vogliamo anche le rose" pt.4-6

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Se "il personale è politico" è stato una delle rivelazioni chiave del movimento femminista, allora questa "storia" montata con materiali visivi pubblici e privati, pagine di diario e commento narrativo sono un esempio di una "trama" che connette continuamente intimità e socialità, politica e desiderio. Invece di spiegare, ci fa entrare dentro una "storia" soggettiva e collettiva.

"Vogliamo anche le rose" di Alina Marazzi pt.1-3

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Il bellissimo film di Alina Marazzi, un montaggio di diari, filmati d'epoca ma soprattutto spezzoni di film amatoriali, che ripercorre il viaggio delle donne in Italia dagli anni Sessanta al decennio Settanta.
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Abbiamo visto insieme il documentario di Lorella Zanardo, "Il corpo delle donne". Si tratta di un documentario scoraggiante: da un lato rende clamoramente visibile una strategia diffusa di produzione di corpo-donna nei mass media televisivi (una produzione alla quale partecipano anche le donne, in modo più o meno consapevole e subordinato); dall'altro il suo montaggio accumulativo e compatto rende ancora più claustrofobico il panorama. Forse in questo sta il suo limite. Inoltre, se è efficace da un punto di vista di denuncia, lo è forse meno dal punto di vista delle sue analisi. O perlomeno, ci si può chiedere, qual è la produzione del corpo femminile in altri luoghi di produzione mediatica? Quali altri corpi-di-donna sono prodotti, forse meno sessualmente fruibili, ma non meno opprimenti? La domanda (che risuona nello stesso video) che mi resta in mente dopo aver visto il documentario è: "Che cosa ci dicono questi corpi?". Questa contrapposizione noi/loro è p
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Matronly, prudish, old-fashioned, proper, flirty, cheeky, provocative, asking for it, slut, whore. Dove si potrebbe scrivere sul corpo di un uomo? E quali aggettivi?
Chi protegge il bambino queer? di Beatriz Preciado, filosofa, direttrice del programma di studi indipendenti del Museo di Arte contemporanea di Barcellona (Macba). Pubblicato su Libération, 14 gennaio 2013 Traduzione di Sara Garbagnoli, dottoranda in Sociologia alla Sorbona di Parigi. Gli integralisti cattolici, ebrei o musulmani, i sostenitori di Jean-François Copé senza più vergogna di esserlo, gli psicanalisti edipici, i socialisti naturalisti alla Jospin, i sinistrorsi eteronormativi e la truppa sempre più ingrossata di coloro che sono alla-moda retrogradi si sono trovati d’accordo domenica scorsa per fare del “diritto del bambino ad avere un padre ed una madre” l’argomento cardine per giustificare la limitazione dei diritti delle persone omosessuali. E’ stato il loro giorno di uscita, un giganteso outing nazionale degli eterocrati nazionali. Tutti costoro difendono un’ideologia naturalista e religiosa di cui conosciamo bene i fondamenti. La loro egemonia eterosessuale si
Il secondo testo sarà Our Bodies Ourselves , il "manuale" di salute per le donne scritto dalle donne del Boston Women's Health Collective. La prima edizione è dl 1970, ma l'organizzazione che ha preso il nome dal libro pubblica ancora oggi edizioni aggiornate (tradotte e adattate in moltissime lingue) su tutti i temi legati alla salute delle donne. La prima storica edizione è disponibile in inglese qui: http://www.ourbodiesourselves.org/uploads/pdf/OBOS1970.pdf La prefazione all'edizione del 1973 è qui: http://www.ourbodiesourselves.org/about/1973obos.asp Passare dal Manifesto a OBOS è apparentemente un salto notevole, ma è interessante confrontare le posizioni di entrambi sul corpo, sulla presa di coscienza e di parola intorno al corpo della donna: dalla salute alla procreazione, dalla sessualità alla percezione di sé. Il collettivo di Boston enuncia un principio importante quando dicono "noi siamo il nostro corpo". Il corpo non è dunque un oggetto,
Torno sul Manifesto che abbiamo tutte e tutti letto, e che abbiamo cominciato a discutere insieme mercoledì scorso. Credo che la maggior parte di noi abbia sperimentato la forza del testo, la sua capacità ancor oggi di scuotere, e di dividere. Ma anche un caotico senso di sovrabbondanza, quasi spaesante. C’è veramente “tutto” in questo manifesto, e anche in ciò mi sembra rifletta bene l’energia e la generosità di una generazione che non aveva paura di mettere in discussione tutto, e tutto in una volta. Per questo credo che la lettura di queste poche pagine trasmetta un vigore e una radicalità che oggi ci sembra quasi insostenibile, da un lato perché questo “gesto di rivolta” può sembrarci datato, dall’altro perché molt* non sentono più quella energia, quel desiderio o quella rabbia per scommettere in un “nuovo inizio”: anche se percepiamo di essere giunti ad un punto terminale di un sistema socio-economico, insostenibile per molti aspetti. Abbiamo visto che il Manifesto ha una forma no
Come iniziare un seminario? Forse da un manifesto di rivolta che ci faccia misurare la distanza ma che comunque nasconde ancora mine inesplose. Un azzardo, senza presumere che questo sia IL femminismo. Però se i manifesti servono a fare piazza pulita immaginando un "altro" inizio questo funziona ancora. Datato e attuale come una rovina che ci parla. Un link al Manifesto di Rivolta Femminile (1970) http://www.evelinademagistris.it/2009/03/20/manifesto-di-rivolta-femminile-carla-lonzi-1970/
Si riparte. Da oggi dopo tanto tempo di inattività, il qublog riprende a vivere grazie al seminario di introduzione a gender e queer studies che ho iniziato all'Università del Piemonte Orientale, dove insegno. Insieme con gli studenti pubblicheremo e scambieremo qui materiali, link, commenti a testi, immagini, notizie che hanno attinenza con i temi trasversali del corpo e della soggettività, del sesso e della sessualità, del genere (gender) delle sue norme e trasgressioni. Non c'è un vero stacco rispetto a quello che era stato pubblicato sinora. Cambia però la fruizione, e il tentativo di creare una piccola comunità temporanea in condivisione. Benvenuta chi si vuole aggregare!