Il corpo (in)generato per Judith Butler

Prendendo le mosse dalla fenomenologia Butler introduce una nozione di corpo che è del tutto opposta non soltanto al senso comune ma anche a una politica naturalisticamente femminista, gay, lesbica e trans. Per Butler infatti il corpo non è un dato naturale e quindi non si può dire che sia immediatamente disponibile a essere riappropriato o ritrovato. Come non esiste un soggetto che precede il verbo, come non esiste un mondo "là fuori" assolutamente oggettificato ed esterno alla coscienza, come non esiste dunque un soggetto o una coscienza "vuota" che venga successivamente riempita dalle percezioni del mondo - così anche il corpo è attualizzato come incorporazione di possibilità. Non abbiamo dunque un corpo che poi plasmiamo in un certo modo, ma abbiamo un corpo nell'atto di plasmarlo, attraverso dunque un processo di incorporazione.
Tali possibilità, d'altra parte, non sono un campionario dal quale possiamo scegliere quasi fossero dei vestiti in vendita. Le possibilità infatti non sono infinite, ma sono già ristrette o condizionate da una temporalità storica. D'altra parte le possibilità si danno soltanto nella misura in cui "qualcuno" le realizza. Possiamo fare un paragone con la langue come sistema di possibilità grammaticali e la parole come i singoli e singolari atti di locuzione umana (ricordi di linguistica generale e di Saussure!)
Può sembrare un bel circolo vizioso, ma tale è l'esperienza fenomenologica alla quale dobbiamo restare fedeli. Vale a dire, non possediamo un corpo (come se fosse un oggetto di cui disponiamo liberamente come altro da noi) se non essendo un corpo, cioè se non sperimentando noi stesso come incorporazione. Non è possibile separare analiticamente un prima o un dopo, una causa e un effetto. E nemmeno politicamente dovremmo farlo. Le politiche corporee, in sostanza, ivi comprese quelle del genere (che ricordiamo è una ripetizione stilizzata del corpo) non possono permettersi di trattare il corpo come un pre-supposto, come qualcosa da cui si possa partire a prescindere dai nostri atti. In altre parole non vi è politica prima del corpo. Il (proprio) corpo non viene mai conosciuto come oggetto ma come s/oggetto, agente plasmato. Né puramente passivo né puramente attivo.
Da qui il tentativo di Butler di evitare da un lato le dottrine politiche del liberalismo che presuppongono il libero arbitrio di un soggetto teorico non condizionato, dall'altro le ideologie che riducono il soggetto a corpo iscritto dall'esterno, a superficie muta, a natura biologicamente determinata.
Analogamente, il genere - che può essere definito anche come la politicizzazione costitutiva del corpo mediante l'operazione della differenza - è sia una struttura che un evento, è una rete di norme e sanzioni, ma è anche una catena plurale di realizzazioni individuali, nessuna delle quali è destinata a essere ideale. Lo scarto tra norma e atto, del resto, non è colmabile, è proprio costitutiva. Ecco perché si può dire che lo spazio del fallimento o della sovversione è ineliminabile.
Mi verrebbe da dire che ci sono "fallimenti" che passano come successi, scarti che non vengono percepiti come pertinenti, e altri che - mutevolmente e in modi assolutamente arbitrari e contingenti - rivelano invece lo scandalo sottostante: che sotto il genere non vi è alcuna natura. Che l'imperatore è nudo.
E' ironico che proprio le performances di drag e di travestimento - soprattutto quelle non previste, vale a dire quelle non realizzate a teatro - siano quelle che smascherano tale "nudità".

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