Le capriole del sesso e del genere secondo Butler

Non mi ricordavo che in questo saggio Butler tornasse così insistentemente a Beauvoir: "Donna non si nasce, si diventa". Soltanto che lei fa esplodere questa celebre affermazione - così tanto ripetuta da diventare quasi innocua - in modo veramente insolito.
Con questa affermazione possiamo giocare in modo pericoloso. Proviamo.
Se donna non si nasce, ma si diventa, chi o che cosa diventa donna?
Se il nascere ha a che fare con una origine, e se questa origine naturale - con Rubin - la chiamiamo sex, allora la donna non potrà fare altro se non avere a che fare con un divenire. Questo divenire trasformativo sarà il gender.
"Donna", dunque, non è né più né meno se non un attributo di genere, indebitamente usato per nominare a ritroso un sex che altrimenti non avrebbe un nome, o quel nome.
Naturalmente, tornando a Beauvoir attraverso Rubin, Butler non può ammettere che tale divenire sia altro se non una "produzione". La produzione di genere - obbligatoria come abbiamo visto - è ciò che produce il soggetto di genere, dotato di una identità ingenerata e insistentemente nominata: il nome che è legge, il nome che non descrive ma che istituisce e ordina: non già semplicemente "tu sei donna", ma contemporaneamente "sii donna"; non già semplicemente "tu sei uomo" ma contemporaneamente "sii uomo".
Il fatto che la produzione del genere sia occultata dall'identità presunta tra sex e gender non vuol dire che il genere femminile o maschile sia tale perché logico proseguimento della medesima naturalità di corpo femminile o maschile. Vuol dire solamente che l'ordinata specularità di sex e gender è effetto dell'occultamento della produzione di differenza, della medesima differenza (di differenza naturalizzata). Poiché il gender appare normativamente come naturalizzato, il sex - vale a dire i corpi naturali - non possono che apparire già costituiti in quanto gender, già coimplicati dunque, già complici, del particolare regime di incorporazione che è il genere.
Il circolo vizioso contamina anche la relazione ideologica tra sex e gender, tra corpo naturale e corpo stilizzato: non vi è elemento primario che sia esteriore - o anteriore - alla sua costituzione come effetto. Quindi non vi è origine, anzi ciò che appare come origine è il prodotto di un'originalità spuria, artificiale: in altri termini "culturale".
Da queste capriole la Butler ricava lo spazio minimo (ma ripetuto e ineliminabile!) per produrre non tanto un soggetto Donna o donna (un nome proprio o comune di genere) ma un s/oggetto "non-già-e-non-ancora-donna". Forse si tratta della lesbica "che non è una donna" (come aveva già intimato Monique Wittig), o il transgender e/o travestito che fa la spola instabile nello spazio ironico (di identificazione impossibile) tra sex e gender.

Molti anni fa, insieme con Paola di Cori e Alice Bellagamba abbiamo chiamato questi "generi impossibili" generi di traverso*. Strani luoghi per fare femminismo, ma forse sono (o sono stati) luoghi necessari per abitare quel "non nato" che Beauvoir aveva oscuramente previsto.

* Generi di traverso, Edizioni Mercurio, Vercelli, 2000.


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