Il secondo testo sarà Our Bodies Ourselves, il "manuale" di salute per le donne scritto dalle donne del Boston Women's Health Collective. La prima edizione è dl 1970, ma l'organizzazione che ha preso il nome dal libro pubblica ancora oggi edizioni aggiornate (tradotte e adattate in moltissime lingue) su tutti i temi legati alla salute delle donne. La prima storica edizione è disponibile in inglese qui: http://www.ourbodiesourselves.org/uploads/pdf/OBOS1970.pdf La prefazione all'edizione del 1973 è qui: http://www.ourbodiesourselves.org/about/1973obos.asp Passare dal Manifesto a OBOS è apparentemente un salto notevole, ma è interessante confrontare le posizioni di entrambi sul corpo, sulla presa di coscienza e di parola intorno al corpo della donna: dalla salute alla procreazione, dalla sessualità alla percezione di sé. Il collettivo di Boston enuncia un principio importante quando dicono "noi siamo il nostro corpo". Il corpo non è dunque un oggetto, ma un luogo importante, incarnato, di formazione della soggettività. Partire da sé significa necessariamente da un soggetto/corpo, molto diverso dal soggetto astratto, universale e disincarnato della metafisica occidentale. E' una posizione molto diversa anche dall'oggettificazione del corpo, indagato, analizzato e dissezionato dall'occhio "oggettivo" della scienza medica. Il collettivo di Boston intendeva riappropriarsi di un sapere intorno al corpo, contestando il monopolio e la posizione dominante del medico (soggetto) rispetto alla donna (oggetto).

Commenti

  1. Stavo cercando le immagini di quella fotografa americana di cui ho parlato durante la scorsa lezione. A proposito di percezione del proprio corpo ho trovato un post se possibile ancor più interessante del singolo lavoro dell'artista a cui mi riferivo (Hannah Wilke, il lavoro era la serie Intra Venus) in quanto ho scoperto diversi altri progetti fotografici che immortalano donne "mutilate" da operazioni chirurgiche, soprattutto al seno.

    http://arterieandco.blogspot.it/2012_10_01_archive.html

    A colpirmi è stata soprattutto l'immagine della giovane donna incinta, ritratta dal lato da cui non solo le manca un seno ma la cicatrice risulta molto visibile, sembra quasi fresca. La trovo un'immagine molto coraggiosa e audace, proprio perchè succede spesso a donne che subiscono mastectomie di sentirsi "meno donne", come se il seno rappresentasse in parte l'identità femminile.
    E' una domanda che mi ripeto spesso e alla quale non ho ancora dato una risposta: quanto e cosa del corpo di una donna la identifica come donna? Discorso che, per estensione, rivolge uno sguardo anche al transgenderismo.

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  2. A proposto di fotografia, volevo segnalare il libro di unafotografa/artista/scittrice molto interessante: sto parlando di Eroine della francese Claude Cahun.
    La Cahun (vero nome Lucy Schwob) è spesso inserita nel filone surrealista, e la sua opera ha posto in primo piano il tema della differenza e dell'ambiguità di genere.
    Eroine è composto da 15 novelle in cui l'artista francese reinterpreta alcuni tra i più importanti peronaggi femminili storici e letterari (ad esempio Eva, Maria, Salomè e Cenerentola) ponendoli sotto una luce totalmente nuova e inesplorata.
    Personalmente mi sono avvicinato a Claude Cahun tramite un'altra fotografa, esteticamente associabile ma dai temi totalmente diversi (Francesca Woodman), e sono curioso di leggere questo libro che mi è arrivato proprio qualche giorno fa.
    Per chi fosse interessato allego qualche link:
    http://www.claudecahun.org/
    http://en.wikipedia.org/wiki/Claude_Cahun

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